Decennio della “Chiesa di Gorbaciov”

A cura di Costa Raptis

Nel pomeriggio del 13 marzo 2013, il conclave per l’elezione di un nuovo papa, svoltosi il giorno prima con la partecipazione di 113 cardinali elettori, si è concluso dopo appena cinque voti nella prima (e prima) elezione latinoamericana. Gesuiti) papi nella storia. L’allora arcivescovo di Buenos Aires, Jorge Mario Bergoglio, fu una scelta sorprendente, poiché era risaputo che era stato il principale oppositore di Joseph Ratzinger nel precedente conclave del 2005 – e quindi la sua occasione era svanita.

La sorpresa fu tale che l’Agenzia italiana inviò frettolosamente un telegramma a lungo preparato convocando il neoeletto Papa, il cardinale Angelo Scola di Venezia. Ma la presenza di 28 elettori italiani (che, in fondo, non era un gruppo omogeneo) non è bastata a superare il veto informale dei loro 20 omologhi nordamericani e non solo loro: una “emancipazione” della morale italiana e una radicale riforma della meccanismo centrale del Vaticano. Le dimissioni a sorpresa, senza precedenti dal XV secolo, di Benedetto West (tedesco, ma residente a Roma dal 1981), dopo vari scandali, il più notevole dei quali è stata la fuga di corrispondenza papale alla stampa, porta un momento simbolico e importante.

Inoltre, il fatto che due terzi degli 1,3 miliardi di cattolici del mondo vivano nel Sud del mondo distoglie l’attenzione dall’Europa.

Lo stesso papa in carica ha scherzosamente descritto il proprio shock in un’intervista a una rivista messicana: “Durante la pausa pranzo del secondo giorno del conclave, è successa la cosa strana che alcuni elettori si sono avvicinati e hanno chiesto del mio stato di salute” e “con a proposito, sono basso in città.” gioco d’azzardo, ma alcuni amici giocano per conto mio e non è male per loro!”. Allo stesso tempo, ha parlato di un’esperienza mistica di pace interiore che lo ha colto durante il voto. Interpretazioni metafisiche a parte, la trasformazione del timido e mediafobico arcivescovo di Buenos Aires in un Papa comunicativo e “liberato” resta reale.

umiltà

Dalla scelta del nome “Francesco”, alla sua umile descrizione alla vigilia della sua elezione davanti alla folla a semplice “Vescovo di Roma” e alla decisione di continuare a vivere nella foresteria dove fu ospitato come elettore (passando così per le varie “filtri” che lo circonderebbero nel Palazzo Apostolico) ) tutto indicava fin dal primo momento che il nuovo Papa avrebbe agito in modo molto originale. E quei messaggi si moltiplicarono rapidamente: terminato il mese della sua elezione, raccomandò, con spirito di evidenziare la sinodalità e non la monarchia della Chiesa, un Comitato cardinalizio di nove membri che lo assistesse nel governo, mentre in estate del 2013, alla sua partenza la prima e sorprendente da Roma, si è recato nell’isola di Lampedusa per evidenziare il dramma dei profughi. Di ritorno dalla Giornata mondiale della gioventù della Chiesa cattolica a Rio de Janeiro, interpellato da un giornalista sull’omosessualità, ha detto, scioccando i più conservatori, “chi sono io per giudicare?”.

Dieci anni dopo, mentre papa Francesco rimane una figura universalmente popolare, la vera storia del suo pontificato è ancora in discussione. La riforma dei meccanismi amministrativi del Vaticano, con una maggiore trasparenza nelle sue finanze, è cancerogena, mentre in questo ambito si sono aggiunti nuovi scandali. Vengono messe alla prova anche le promesse che d’ora in poi la Chiesa sosterrà le vittime di abusi sessuali da parte del clero, visto il sostegno che lo stesso papa ha esteso ai suoi associati accusati. Né la promessa della sinodalità dovrebbe nascondere il fatto che l’attuale Papa agisce, ogni volta che lo decide, nello stesso modo “monarchico” dei suoi predecessori, ad esempio con le sue mosse per sollecitare un revival del vecchio modo di celebrare la Divina Liturgia.

Ma l’ambito in cui si nota il visibile indebolimento dell’appello della Santa Sede è quello internazionale. Quando Papa Giovanni XIII pubblicò la sua enciclica Pacem in terris dopo la crisi dei missili cubani, creò scalpore internazionale. Quando, sempre nel 2003, sotto Giovanni Paolo II, Roma guidò un’iniziativa diplomatica per prevenire la guerra in Iraq, ci furono grandi consensi e anche la Casa Bianca di George W. Bush si sentì in dovere di mostrare rispetto. Tuttavia, poiché ormai da un anno infuria la guerra in Ucraina, l’esatta posizione di papa Francesco non è particolarmente compresa, né sembra riguardare molte capitali – e del resto l’idea di sviluppare un’iniziativa di pace da esperti vaticani è emersa la diplomazia. non ha incontrato fortuna.

Forse il mondano Jorge Mario Bercolio sta investendo per apparire più in sintonia con lo stato d’animo del Sud planetario, che rimane “neutrale” di fronte a questo “conflitto europeo”. Per ora ha scontentato solo i greco-cattolici ucraini, mentre i suoi ultimi appelli, nel primo anniversario della guerra, per l’armistizio e il freno al commercio di armi, non si sono mossi né a ovest né a est.

E all’interno del mondo cattolico papa Francesco, secondo il vaticanista americano John Allen, si trova in una posizione simile a quella di Mikhail Gorbaciov: i suoi sforzi di riformare la Chiesa gli hanno letteralmente funzionato contro sia i conservatori che i liberali (si veda ad esempio la recente decisione dei vescovi tedeschi benedire l’associazione di amici comuni, disobbedendo a Roma), innesca la polarizzazione e libera dinamiche incerte da controllare.

Ludovico Schiavone

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